A(b)Braccio # Daniela Tornatore
Ancora una volta Italia e Germania. Come tante altre volte. Come quell’11 luglio del 1982. Avevo 12 anni, ero piccola tra soli grandi. Per una ragazzina di quell’età le restrizioni erano, soprattutto allora, tante. Per questo, più guardavo i grandi, più volevo diventare come loro e il più in fretta possibile. Anche perchè avevo capito subito che per fare certe cose dovevo crescere, non c’erano deroghe. Soprattutto non c’erano deroghe per l’amore. Ed io amavo Marco Tardelli.
Decisi quella sera che, succedesse quel che succedesse, andasse come andasse, io quell’uomo che urlava dopo il gol alla Germania, lo avrei sposato.
Altro che Cabrini, altro che Antognoni: io amavo lui, volevo lui e nessun altro. Mi rendevo già conto che la differenza di età tra noi era abissale, tuttavia non incolmabile. E mi convinsi che il nostro problema, al massimo, era tutto lì.
Fu così che cominciai a fare quello che non avrei mai più smesso di fare in tutta la vita: sognare e sperare con tutte le forze. L’ho desiderato spegnendo le candeline dei miei compleanni, l’ho desiderato gettando la monetina nelle fontane magiche alle gite d’istruzione. L’ho desiderato, punto. Convinta che più lo avrei desiderato e più il mio sogno si sarebbe realizzato.
Gli azzurri, si sa, vinsero quella finale per 3-1. Il gol di Tardelli fu per me, piccola sognatrice, un segno del destino (che vedevo solo io).
Da quella sera sono passati più di 30 anni. Oggi posso fare quello che allora non potevo fare: guardare indietro. Marco Tardelli poi l’ho conosciuto davvero, ma ovviamente non ci siamo sposati.
Il suo resta l’urlo dei miei sogni infranti, quello di allora e dei tanti che sarebbero arrivati dopo. Perchè come dice il mio amico Luciano Ligabue, anni di fatica e botte e vinci casomai i mondiali. La vita è un’altra cosa.