di Filippo La Torre /
Una voce rauca e incomprensibile attraversa ogni santa mattinata la lunga strada che porta a Mondello. E’ il mio orecchio sinistro a percepirla di più, sempre tra le dieci e mezzogiorno. E’ sgradevole ma non cacofonica, rimanda alla memoria note che arrizzano la pelle e testimoniano brandelli di vite dolorose. Mi ricorda la voce di Rosa Balistreri e i canti solitari dei carrettieri.
E’ la quinta settimana che prendo posto di fronte a questo computer e ancora non ho chiesto alla mia amica che cosa abbannìa l’uomo che tra le dieci e mezzogiorno transita sotto il nostro balcone. Cos’era? – mi chiedevo. La paura della verità? Di quali verità? Nemmeno mi affaccio. Ho paura che la voce dell’uomo si accompagni a una deformità che somma sfortuna a sfortuna. Ogni tanto sento anche voci di donna, soltanto di donne, che richiamano l’attenzione dell’uomo. A me cinque, ti calo il paniere. Un’altra dice: A me sette ma ne pago sei perché l’ultima volta uno l’ho buttato. Donne, soltanto donne e mai una replica.
L’altro giorno ha sostato sotto il balcone, lentamente sentivo la voce avvicinarsi, passo passo e con pause sempre più crescenti, come se prendesse fiato. Poi l’esplosione, forte, come di vulcano attuppato. La voce era da baritono ma mi era arrivato soltanto un grido prolungato quasi da bestia ferita e poi più nulla. Ho atteso solo pochi secondi prima di scostare la tenda. In quel momento la strada era piena di gente, riuscii a mettere a fuoco alcuni uomini che transitavano sui marciapiedi ma nessuno somigliava a un venditore ambulante e nessuno teneva mercanzia tra le mani. Altri già mi davano le spalle mentre si allontanavano.
La notte scorsa ho dormito poco, ho avuto i primi incubi appena chiuso occhio. Dal profondo di un pozzo si liberava la voce cavernosa e rauca dell’uomo che abbannìa. Mi affacciavo ma il buio mi permise soltanto odore di pelli umide. E poi la notte successiva nuovamente il pozzo, nero e umido, e la voce disperata di un’anima del Purgatorio. Devo conoscerlo, non occorre certo dargli confidenza. Devo sapere. Forse che la mercanzia offerta si sposa con la sua voce rauca e sconosciuta? La mente esplora, disarticola, salgono a galla solo mantelli neri.
Il sole oggi è troppo forte, l’acqua di Mondello sarà come il brodo. Questo è il mio pensiero già alle otto di mattina. Me ne sto al computer a scrivere minchiate. La voce, puntuale, arriva alle dieci. Mi alzo dalla sedia, scosto la tenda, alzo la zanzariera e mi affaccio sulla strada. Lui è lì. Un tuareg senza turbante, la pelle colore dell’ebano, età indefinita. Trenta, quaranta, cinquantanni? Il sole di luglio lo aveva pennellato di nero lasciando in bella mostra – anzi, a risaltare – due occhi colore del mare, azzurri come quando il cielo gli fa da coperta. Attiro la sua attenzione. A me una dozzina. Freschi, mi raccomando, me li dia freschi. Garofani e tulipani, di tutti i colori.